Didalab - e-learning/didattica on line
Diario di bordo per la navigazione a vista&Itinerari per la didattica a distanza
Per noi Cultura è coscienza storica, Piero Gobetti, 1919
​
Definizione di totalitarismo
1932 - voce Fascismo nell'Enciclopedia italiana. Da parte fascista si intendeva la volontà di raggiungere la totale identificazione e sovrapposizione tra Stato e società.
​
1951 - Hannah Arendt e le origini del totalitarismo. L'autrice insistette sulla combinazione tra ideologia e terrore tipica di questi regimi, sullo sforzo di uniformare e omologare forzatamente la società in virtù e nel senso di specifiche ideologie. Non mancò di riflettere sulla personalizzazione del potere e sul ruolo dominante attribuito al capo politico.

Hannah Arendt
Definizione contemporanea - Totalitarismo o totalitarismi?
​
Possiamo oggi utilizzare questo termine per riferirci a un regime (ma meglio sarebbe allargare il riferimento ai diversi regimi che contraddistinsero il XX sec.) tipico del Novecento, sorto con lo scopo di fornire una risposta alle esigenze e alle problematiche della neonata società di massa e alla spaccatura creatasi nell'Ottocento tra popolo e Stato-nazione. Una risposta fondata non solo sul potere repressivo ma anche sulla cosiddetta "nazionalizzazione delle masse", ovvero sullo sforzo di fare attecchire nelle masse (soprattutto nelle fasce sociali più basse) concetti e valori quali: patria, nazione, potenza militare, valori che fino ad allora erano stati appannaggio pressoché esclusivo delle classi dirigenti.
Per ottenere queste finalità, i regimi totalitari introdussero nuovi metodi, non limitati alla violenza e alla forza repressiva: il ricorso a ideologie forti, le liturgie 'parareligiose' di massa, le tecniche di propaganda e di proselitismo, l'intervento sull'educazione dei giovani sono soltanto i caratteri più appariscenti dei totalitarismi del '900.
​
In altre parole, l'abbinamento tra repressione e costruzione del consenso rende tipici i regimi totalitari nella loro pretesa di mobilitare la società e non solo di controllarla dall'alto. In questa prospettiva è evidente la netta differenza rispetto a tanti altri regimi (il regime dei colonnelli greci negli anni '60-'70 o ancora certe dittature dell'America Latina o certi sistemi politici africani), fondati unicamente sulla repressione poliziesca, senza interesse per la mobilitazione sociale o per la costruzione di una 'nuova umanità'.
​
In acuni casi, come nella Spagna franchista o nella Turchia di Atatürk si possono osservare elementi di totalitarismo.
Un altro importante concetto è quello di totalitarismo «perfetto». Si definiscono in qesto modo il regime nazista e quello sovietico. Senza dimenticare le grandi differenze tra loro - per quanto riguarda innanzitutto l'ideologia, ma anche per ciò che concerne le strutture del potere, i rapporti tra Stato e partito e altre diversità più strettamente politiche - consistenti sono tuttavia le analogie tra i due sistemi (ad esempio nel ricorso alla violenza per debellare l'opposizione politica e la dissidenza o ancora nel ricorso a certi linguaggi, come quello cinematografico, a scopi propagandistici).
È invece tutt'ora aperta la discussione sul carattere più o meno totalitario del fascismo italiano, tanto che da parte di alcuni studiosi si è coniata la definizione di «totalitarismo imperfetto». Secondo questi storici, sono mancate in Italia alcune espressioni tipiche della Germania di Hilter o della Russia di Stalin, come il ruolo assoluto del partito. Nella penisola inoltre rimanevano in piedi alcune istituzioni che traevano la propria legittimità da fonti diverse rispetto al fascismo: da una parte la monarchia, dall'altra la Chiesa, con la sua capillare ramificazione nella società, costituita dalle parrocchie e dall'Azione Cattolica.
I caratteri del totalitarismo
​
Fra i tratti comuni dei regimi totalitari si possono evidenziare alcune costanti.
​
L'ideologia - carattere forte e assoluto dell'ideologia che muove da una precisa concezione antropologica (per esempio quella fondata sulla preminenza della razza nel caso del nazismo) e motiva sia la 'rivoluzione' avvenuta con la conquista del potere (si ricordi che anche il fascismo si definiva una rivoluzione) sia la necessità di garantire coesione sociale per instaurare un ordine nuovo che perduri nel tempo (come nel caso del Reich). Ma ciò implica la massificazione e l'omogeneizzazione - quindi la repressione - di ogni voce discordante.
L'ideologia deve avere un carattere assoluto e contribuire a distruggere ogni eredità del passato, negando in radice la possibilità del pluralismo sociale. Deve esistere un rapporto diretto, fideistico, tra singolo e capo, come condizione necessaria per raggiungere determinati obiettivi. Da qui la lotta contro oppositori politici e religione così come l'impegno per controllare anzi dirigere l'educazione (anche quella familiare), la scuola, il tempo libero, la cultura.
Ogni ideologia totalitaria costruisce ad hoc un Olimpo di antenati e propri punti di riferimento storico-culturali: si va dal recupero della mitologia pagana germanica, all'esaltazione della Roma imperiale, oppure alla canonizzazione del quartetto Marx-Engles-Lenin-Stalin in un'ideale linea di continuità filosofica e operativa. Nel caso italiano ricordare l'enfasi relativamente alla vittoria nella Grande Guerra del 1915-18.

Bisogno di sicurezza e modernizzazione - un'ideologia assoluta e capace di orientare ogni aspetto della vita quotidiana era necessaria, nei totalitarismi degli anni Trenta, anche per offrire alle masse popolari quella sicurezza psicologica che la rapidità delle trasformazioni economiche e sociali aveva messo in dubbio.
Si puntava alla modernizzazione del paese, dando all'industria - anche in funzione bellica - un ruolo assolutamente preponderante. In Unione Sovietica ad esempio, Stalin decise di incerementare a tal punto l'industria pesante da gravare pesantemente sulle risorse umane e materiali delle campagne.
Nazismo e fascismo fecero a gara per esaltare la macchina, il motore, la velocità, il record, la modernità. Contemporaneamente però proposero in continuazione un modello di società e di famiglia (oltre che di donna) che manteneva forti tratti patriarcali e ruralistici. In contrapposizione alla città e all'industria, la campagna era presentata come fonte di valori e di sicurezza, di contatto diretto con la natura e con la salute. Mussolini aveva in mente un'immagine di famiglia che era direttamente ispirata dalle grandi famiglie contadine della Romagna. Hitler e Stalin facevano diffondere immagini di liete famiglie con numerosi figli, in ambienti fortemente caratterizzati in senso naturalistico o rurale.
Questa contraddizione si ritrova nell'immagine della donna così come rappresentata nei regimi del tempo: da un verso la donna dinamica e sportiva, pienamente calata nei ritmi della modernizzazione, disposta a seguire la moda, pronta aindossare pantaloni e abiti sportivi; dall'altro verso una donna dai fianchi robusti, madre di numerosi figli, votata tutta alla famiglia e al marito.
Il culto del Capo - nel totalitarismo il capo politico assumeva un ruolo ugualmente assoluto e la sua personalizzazione assumeva i connotati della divinizzazione. Il capo era raffigurato in modo simile nei vari regimi, tanto che fotografie e manifesti rivelano impressionanti somiglianze nell'uso delle pose (soprattutto marziali), delle situazioni, degli slogan. Il capo era presentato come autentico uomo del popolo, capace di svolgere i diversi lavori manuali.
Mussolini si faceva ritrarre a torso nudo intento nella mietitura oppure con un piccone in mano, senza disdegnare di praticare sport diversi (il nuoto, il tennis, la scherma) o ancora come pilota di auto sportive, aerei, locomotive.
Ovunque il capo godette di una definizione originale e unica: Führer (= guida), Duce, Caudillo (capo, duce, appellativo di Francisco Franco in Spagna), Conducator (il generale Antonescu in Romania), oppure Atatürk (=Padre dei turchi, Kemal in Turchia). Stalin fu riconosciuto come padre dei popoli sovietici e dei prolateri di tutto il mondo. Il carattere guerriero del capo si affiancava all'immagine rassicurante di un padre capace di provvedere ai bisogni dei suoi figli (il popolo).
Si collega a queste immagini la concezione di un capo cui ci si poteva rivolgere direttamente, senza alcuna intermediazione istituzionale. I dittatori del Novecento insistettero molto su questo aspetto, in tal senso devono essere considerate le periodiche chiamate a raccolta della popolazione - le folle oceaniche - per ascoltare e celebrare il capo (e con lui la grandezza della nazione che con lui si identificava strettamente).
In questi casi il capo dava l'impressione di un legame diretto, di un dialogo forte con l'uditorio, attraverso una retorica fatta di domande, affermazioni, artifici linguistici, retorica che produceva un illusorio libero colloquio tra Capo e folla.
Il Capo insomma veniva inteso come la personificazione stessa della Patria, contrastare il capo voleva dire rinnegare la Patria. Nel caso italiano questa situazione è ben riassumibile in un discorso pronunciato da Mussolini stesso il 26 maggio 1927. Sostenendo l'inutilità delle opposizioni all'interno di un regime politico, Mussolini riassunse il suo pensiero nello slogan: "Tutto nello stato, niente contro lo stato, nulla al di fuori dello stato".

Mussolini mietitore

Mamme felici di dare figli all'Italia del Duce. Il regime promosse una pervicace campagna demografica secondo la convinzione che una popolazione numerosa avrebbe offerto all'Italia un ruolo strategicamente e militarmente importante tra le grandi potenze mondiali.

Adunata nazista a Norimberga, 1933
Il partito unico - Il partito unico fu un altro elemento caratteristico dei totalitarismi. Il partito fu presentato come l'unico autentico interprete della società e come il nucleo primigenio della società nuova che la 'rivoluzione' avrebbe costruito. Esso era dunque l'interprete e l'avanguardia della nazione, dotato inoltre di mezzi coercitivi, avendo sovente a disposizione milizie armate. L'appartenenza al partito divenne condizione necessaria non solo per svolgere attività politica, ma pure per avere un ruolo nella società e nella comunità, oltre che per poter esercitare determinate professioni.
In questo modo il partito accrebbe enormemente i suoi iscritti, cosa che comportò una dilatazione degli apparati burocratici, con conseguente moltiplicazione degli uffici e crescita dei costi per l'amministrazione.
Fedele custode e propulsore dell'ideologia ufficiale, nonché motore del culto della personalità, il partito totalitario doveva essere in grado di mobilitare i suoi iscritti ovvero le masse. Il partito si fece promotore e protagonista di liturgie di massa, nelle quali si recuperavano elementi propri del linguaggio religioso e si impostavano i contenuti di una religiosità laica posta al servizio del Capo. L'estensione delle prerogative del partito produsse una vera e propria conflittualità verso le analoghe istituzioni dello Stato. La sovrapposizione e i conflitti di competenza riguardarono un po' tutti i regimi del Novecento.
In Italia, Mussolini tenne per sé la carica di Capo del Governo e di Ministro degli Interni, controllando così le forze dell'ordine e la catena di comando dei prefetti. Il partito fascista fu progressivamente privato della sua forza e della sua autorità dall'interno, ossia da una componente del partito stesso. In Germania Hitler combinò in se stesso tutte le cariche: già Führer del partito, fu cancelliere nel 1933 (e quindi a capo del governo), mentre nel 1934, dopo la morte di Hindenburg, si attribuì pure la carica di capo dello Stato. La fusione tra strutture del partito e Stato fu molto più avanzata.
In URSS si ebbe la preminenza del partito, poiché il potere reale era detenuto dal capo del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS).
Questi sistemi non ottennero assolutamente la razionalizzazione del sistema di governo, anzi, l'intero apparato burocratico-amministrativo risultò farraginoso, complicato e dispendioso. Per la Germania, i politologi, parlando di «policentrismo» intendono un sistema nel quale i vari centri periferici di potere si confrontavano aspramente fra loro, mentre al di sopra, il Capo, Hitler, approfittava di queste tensioni per continuare a detenere un potere pressoché totale, impededo di fatto l'emergere di rivalità potenzialmente pericolose.
In tutti questi regimi, il dittatore curò con la massima attenzione il controllo dei suoi collaboratori (Mussolini faceva spiare molti dei suoi gerarchi, soprattutto quelli più irrequieti come Farinacci), per stroncare sul nascere ogni velleità di successione al potere. Il ricatto, la delazione, la preparazione di dossier segreti, la raccolta di elementi compromettenti sulla vita privata, tutto ciò serviva allo scopo del mantenimento del potere, attraverso l'indebolimento dei potenziali avversari interni. Per ciò che riguarda il fascismo cfr. i dossier - oggi consultabili - della Segreteria particolare del Duce.
La propaganda
Tipica dei regimi totalitari fu la relazione tra costruzione del consenso e apparati repressivi, entro lo schema ideologico dell'edificazione di una nuova società. Per ciò che riguarda la costruzione del consenso, la propaganda assunse un peso importantissimo.
In Germania la propaganda fu affidata a un apposito Ministero guidato da Joseph Goebbels, il quale seppe sfruttare abilmente i nuovi mass-media; la radio ad esempio fu ampiamente utilizzata dai nazisti per i propri fini di allargamento e rafforzamento del consenso.
In Italia, il Ministero della Cultura Popolare ebbe tra i suoi compiti quello di orientare l'opinione pubblica tramite i mezzi di comunicazione. Le 'veline' erano veri e propri dispacci quotidiani inviati ai direttori di giornali, attraverso cui si prescriveva quale rilevanza dare alle diverse notizie, quale doveva essere la composizione delle pagine, che utilizzo fare delle foto.
Hitler e Mussolini compresero subito il grande potenziale offerto dal cinema, anzi cercarono di incrementare questo nuovo linguaggio in vario modo. La nascita di Cinecittà a Roma è opera del Regime fascista.
Il Führer diede grande fiducia e finanziamenti a Leni Riefenstahl, la regista del Reich, cui fu commissionata una pellicola relativa alla grande adunata celebrativa di Norimberga (1934). Il film Triumph des Willens (Trionfo della volontà) è tutt'oggi considerato uno dei documenti più rappresentativi di quell'epoca.
Le visite del dittatore nelle varie città, i congressi di partito, la celebrazione di anniversari importanti, fornirono ai regimi l'occasione per organizzare imponenti liturgie di massa, alle quali furono chiamate a partecipare centinaia di persone. Norimberga divenne in Germania la sede per manifestazioni di questo tipo, con riti collettivi in cui si ripetevano formule di fedeltà, giuramenti, parate, discorsi, momenti di festa e di 'cameratismo' nei quali trovava piena espressione l'esaltazione della collettività nazionale, la fisicità e la bellezza corporea secondo i canoni fissati dal regime.