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Quella volta che rischiai di essere sbranato a Bran

  • Immagine del redattore: Toco Buttali
    Toco Buttali
  • 6 apr 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 11 apr 2020

tratto da "Avventure, peripezie, imprese e altre amenità"



Domenica d'estate. Ero a pranzo da mia sorella quando annunciai il mio secondo viaggio nell'Est Europa. Lei, tra una mestolata di orecchiette e un'occhiata alla tv, esclamò: «ma sempre viaggi in mezzo ai terremotati fai tu! Guarda, la prossima volta te lo pago io un viaggio "da cristiano", una vacanza come si deve!». Per mia sorella (e il marito) viaggio o vacanza erano concetti coincidenti, viaggio o vacanza significavano crociere o meglio ancora villaggi turistici, la spiaggia di Jesolo in hotel 4 o 5 stelle, senza fare nulla, soltanto sole, ombrellone, piscina, mangiare serviti e riveriti, dormire e poi di nuovo, mangiare, sole, piscina ecc. ecc. Al massimo, se proprio proprio, concedersi di partecipare alle attività proposte da qualche animatore.

Mio padre intanto aveva cominciato a ingurgitare le orecchiette e, appresa la mia meta, compreso che la tappa finale sarebbe stata la Romania, mi guardava di sottecchi in malo modo. Conoscevo bene quella sbirciata a testa china sul piatto domenicale, era un'occhiata parlante, una di quelle occhiatacce che dicevano: «ma dove minchia vai con quel catorcio di camper, tu vuoi proprio passare un guaio e vuoi inguaiare anche me... ma tu proprio non riesci a stare calmo, ma come devo fare io con te, sei sempre la solita testa matta».

In realtà non sarei partito in camper (il mio glorioso Arca America 340 mansardato del 1987 ), tutt'altro, avrei guidato una Saab 1.9 diesel che mi attendeva lucida lucida a Fregene, il 6 luglio 2015, data prevista per la partenza.

Cosa ne poteva sapere mio padre del nostro itinerario? Faustino mi aspettava nella sua casetta lungo il litorale laziale e mi telefonava cinque o sei volte al giorno per aggiungere dettagli al programma di viaggio. «Totò - mi chiamava così il mio amico Faustino - allora... 'a prima tappa 'a famo in Austria, si partimo de matina arivamo verso Graz a sera, se fermamo da qualche parte, magnamo, bevemo e la matina dopo con calma ripartimo in direzione Bratislava. Aò guarda che t'aspetto, nun me da' buca sinnò te vengo a pijà io da tu padre». Cosa ne poteva sapere mio padre di Vlad III Țepeș voivoda di Valacchia, eroe nazionale di Romania, divenuto nell'immaginario del mondo e per colpa della letteratura il principe delle tenebre e dei pipistrelli, un mostro succhiasangue che dormiva in una bara? Non poteva certo saper nulla delle teorie che legavano Dracula a Napoli (nello specifico al chiostro di Santa Maria la Nova) o alla cattedrale di Acerenza (*). Non poteva aver certo visto “Vampyr” di Dreyer, ma nemmeno “Nosferatu” di Murnau o “Zora la vampira” dei Manetti Bros. Mai avrei parlato al mio genitore delle suggestioni che mi spingevano a intraprendere quel viaggio, anche perché quelle stesse suggestioni erano molto confuse, si rimescolavano nella mia mente seguendo spinte centrifughe verso la rapida partenza. Anche Faustino voleva partire al più presto, non ce la faceva più, aveva attraversato un periodo pesante, vari problemi di salute durante l'inverno l'avevano costretto a letto per vario tempo e perciò aveva dovuto smettere di dipingere. Ora, con la bella stagione, voleva partire, fuggire dall'Italia, andare in Polonia. Era stato invitato a partecipare ad un Simposio internazionale di pittura, sperava di ridare vigore al suo espressionismo un po' naif, voleva riossigenare la sua arte, così mi diceva a telefono: «Totò devo riossigenare la mia pittura». A prima vista Faustino poteva sembrare un tipico coattone di borgata, il tipico romanaccio sboccato e fanfarone; effettivamente poteva apparire così a chi non lo conosceva bene. In realtà quando parlava di pittura e di arte Faustino cambiava il tono della voce, l'atteggiamento, lo sguardo, le movenze, si addolciva insomma e anche i lineamenti del suo volto si rilassavano, si ingentilivano. Quando parlava di arte Faustino abbandonava la posa gradassa e borgatara, spesso eccessiva e odiosa, per diventare una persona calma e sensibile, un amico, un interlocutore e un compagno di viaggio ideale.

Restammo a Stary Sącz, nei pressi del fiume Poprad, a pochi chilometri dal confine con la Slovacchia per una settimana. Lì conobbi e scarrozzai in giro tanti artisti: polacchi, ucraini, bielorussi, slovacchi, francesi, giapponesi; ero stato invitato – su sollecitazione di Faustino – per documentare il Simposio ed effettivamente quella fu un'esperienza molto significativa, in una delle località più antiche della Polonia. Ma questa è un'altra storia che forse un giorno racconterò in un reportage.



Transilvania


«Totò se qua te sequestrano nun te vie' a salva' nesuno! O vedi? Te buttano in una de 'ste foreste e... addio!» Faustino gesticolava con la mano facendo il segno della benedizione, come a dire: è finita! Game over!

Effettivamente la Transilvania è una vasta area selvatica, a tratti impenetrabile; il nostro viaggio in macchina continuò per decine di chilometri in mezzo alle foreste più fitte, percorrendo strade perlopiù sconnesse su cui transitavano indifferentemente TIR, auto e carretti trainati da asini o muli anchilosati. Qua e là, di rado, qualche casa a bordo carreggiata o qualche villaggio, più spesso si incontravano i venditori di funghi, more, mirtilli o altri frutti di bosco in mezzo al nulla. Parevano creature del sottobosco quei venditori, esseri mitici che abitavano quelle selve da secoli. Nel luglio 2015 la Transilvania non aveva ancora il problema del disboscamento illegale di oggi o, se c'era un problema del genere, era molto meno avvertito, non era ancora balzato agli onori (o sarebbe meglio dire orrori) delle cronache. Oggi le foreste transilvane sono vittime della speculazione, del mercato nero del legname, dell'affarismo industriale che procede sempre a braccetto con la corruzione politica e amministrativa. Nel 2019 alcuni guardaboschi che si battevano per la salvaguardia di quell'ambiente sono stati uccisi. Varie centinaia di ettari di foresta sono stati distrutti, migliaia di alberi segati e molti animali selvatici hanno di conseguenza visto sparire il loro habitat, tra questi la lince, il lupo e l'orso, i veri "Signori" della Transilvania. Le foreste vergini della Romania, polmone verde d'Europa, stanno scomparendo al suono orrendo della motosega.





«Io volevo passa' da Cluj-Napoca o da Timisoara a vede 'n po' de donne e invece tu me voi porta' da Dracula... nun te capisco, mah!». Cominciai a ridere fragorosamente rispondendo: «invece noi andremo a Sighisoara, città Natale di Vlad, vedrai che spettacolo!» e intanto lanciavo quella Saab a 170 km orari su un rettilineo lunghissimo e desolato, nel bel mezzo della Transilvania. Faustino si incazzava quando calcavo l'acceleratore su quelle strade infinite, liberando tutto il suo estro in fantasiose imprecazioni. Per tranquillizzarlo dovevo rallentare e cominciare a raccontargli qualche storia del vampiro per antonomasia: il conte Vlad III Dracul, membro della Confraternita del Drago, ordine militare fondato dall'imperatore Sigismondo di Lussemburgo (proprio quel Sigismondo di Lussemburgo ritratto come San Sigismondo da Piero della Francesca nel tempio Malatestiano di Rimini) per combattere l'avanzata dei turchi ottomani. Vlad non ebbe vita facile poiché dovette costantemente difendersi sia dai nemici esterni, i turchi ottomani appunto, sia da quelli interni, i boiardi, nobili feudatari del suo principato inclini all'insubordinazione e al tradimento facile. Per dare una definitiva dimostrazione di autorità Vlad invitò i boiardi a un grande banchetto, nel giorno di Pasqua, Anno Domini 1459. Ad un certo punto, in mezzo alla musica dei menestrelli, al viavai delle pietanze, alle piroette dei saltimbanchi, alle smancerie delle cortigiane e mentre molti boiardi masticavano sbafando a quattro ganasce, Vlad decise di impalarne circa 200, così tanto per gradire, altri, quelli più appanzati, li costrinse a restaurargli il castello di Poenari. Il principe assistette alle esecuzioni continuando a banchettare e successivamente volle sovrintendere personalmente alle operazioni di restauro, assicurandosi che la pingue nobiltà di Valacchia fosse effettivamente in grado di procedere alacremente alla costruzione del castello (che sarebbe poi divenuto sua residenza stabile). Questo episodio è passato alla Storia come la Pasqua di sangue di Târgoviște. Insomma, Vlad il sanguinario, il diavolo, il conviviale impalatore, non venne mai considerato tale dai suoi contemporanei, anzi, fu acclamato come eroe per aver più volte bloccato l'avanzata dei turchi in Europa, come suo fratello Mircea II del resto, principe crociato a Varna nel 1444. Per farla breve, i Drăculești (la genìa a cui Vlad III apparteneva) aiutarono in più occasioni i papi di Roma e gli imperatori contro gli infedeli ottomani.

Bran

Arrivammo a Bran di pomeriggio e visitai il castello da solo, Faustino aveva fame e voleva a tutti i costi rimediare un alloggio per la notte. Io invece speravo di allontanarmi il più possibile dalle orde di turisti che affollavano le bancarelle lungo quella strada che una volta era il confine tra la Transilvania e la Valacchia. Pare che il maestoso maniero di Bran non venne mai abitato dal principe Vlad III. Fu però residenza di Missy di Sassonia che lo restaurò internamente seguendo gli stilemi Arts and Crafts. Il giro del castello fu rapido, l'ora del tramonto si avvicinava e io volevo assolutamente scattare qualche foto panoramica con il teleobiettivo. Raggiunsi Faustino, saltai alla guida e cominciammo a girovagare alla cieca percorrendo le strade attorno al castello. Imboccammo un sentiero polveroso e pieno di buche che procedeva in salita, superate alcune casette diroccate fermai la macchina in mezzo alla strada. Montai l'obiettivo velocemente e afferrato il cavalletto cominciai a correre in mezzo ad un prato; il momento era perfetto, la luce giusta, l'inquadratura ideale e di turisti neanche l'ombra. Lì in mezzo all'erba c'erano delle pecore che fuggirono via spaventate scuotendo i campanacci. Montai la reflex sul treppiede e scattai. Eccolo là il castello, nella sua magnificenza, nella sua maestosità, adamantino nell'aura quasi crepuscolare! Da quella prospettiva pareva un elfo barbuto gigante pronto al sonno.

«Antòòòò!! Scappaaaaaa!!» mi girai verso la macchina, Faustino gesticolava terrorizzato, seduto al volante mi indicava qualcosa nel prato. Solo in quel momento distinsi nitido e vicinissimo l'abbaiare che avevo avvertito confusamente tra lo scampanellio delle pecore. In un nanosecondo mi ritrovai catapultato sul tettuccio della Saab, i cani tutt'attorno ringhiavano come diavolacci e io cercavo di colpirli sul muso con il cavalletto, intanto sentivo Faustino gridare e imprecare: «mo te devi fa' pure sbrana'... me stai a sfonnà er tetto daa machinaaa! Fa' pianoooo! Sti cani demmerdaaaa! Mortaccivostraaaaa!!» si mise a suonare il clacson e avviò la macchina in discesa mentre io cercavo di aggrapparmi alla cappotta con una mano, trattenendo la cinghia della relfex fra i denti e tentando di allontanare a colpi di cavalletto quei cani che saltellavano attorno alla Saab come streghe nel sabba. «Mortacci vostra!! E vaffanculo a te e 'sto stronzo de Dracula! Me stai a sfonna' a machinaaaaa! Pianooo!» urlava e schiaffeggiava lo sterzo in mezzo alla polvere e ai cani che gli sbavavano sui finestrini.

Una vecchia intanto si era affacciata da quelle casette basse e sgarrupate, ci guardava e rideva mostrando l'unico incisivo dorato allo spicchio di sole rosso che tramontava su Bran. Perché, come diceva Marius, il camionista che ci aveva cambiato i soldi ad Oradea, in Romania, se non hai almeno un dente d'oro in bocca, non sei nessuno.





La Salina di Turda






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